"Che possono le leggi, là dove solo il denaro ha potere, o dove la povertà non ha mezzi per vincere?"
così si interrogava Petronio Arbitro, indicato come autore del "Satyricon" romano, all'epoca di Nerone, che ha poi ispirato il più recente Satyricon di Fellini.
Tacito descrive Petronio come uno che "...soleva ... trascorrere il giorno dormendo, la notte negli affari o negli svaghi; la vita sfaccendata gli aveva dato fama, come ad altri l'acquista un'operosità solerte; e lo si giudicava non un gaudente e uno scialacquatore, come la maggior parte di coloro che dilapidano il loro patrimonio, ma un uomo di lusso raffinato..."
Oggi, più semplicemente, diremmo che Petronio fu un porcellone gaudente ma di certo non gli mancava l'arguzia e il senso dell'ironia.
E tra le citazioni che gli si attribuiscono, appunto, c'è quella che riguarda la giustizia : "La giustizia è una merce, tutta esposta lì in piazza, e il cavaliere che giudica dà la ragione a chi compera".
Un bel modo per dire che alla sua epoca con i soldi si comprava di tutto ed era più facile anche ottenere un giudizio favorevole.
Questo ai tempi di Petronio.
Oggi funziona diversamente, ma non c'è dubbio che chi può disporre di più danaro può anche difendere meglio e più facilmente le sue ragioni.
Comunque la pensasse, Petronio però si riferiva pur sempre al fatto che di fronte ad una legge, alla stessa legge, il denaro permetteva di rivolgere a proprio favore le sorti di un eventuale giudizio.
Ebbene nella storia, anche recente, ci sono pure esempi in cui è la legge medesima che pone differenza tra chi ha i soldi e chi no.
E' tale il caso di un episodio del 1700, raccontato da Zazo in "Curiosità storiche beneventane".
All'epoca era diffusa la cattiva abitudine dei giovinastri di prendere in giro le fanciulle nel periodo della vendemmia.
I giovani, appostati lungo le porte di accesso alla città, bersagliavano le malcapitate ragazze che passavano, con espressioni volgari, accompagnate da gesti molto significativi che offendevano il pudore e scandalizzavano tutti.
E suscitavano non poco "allarme sociale", come diremmo oggi.
Sicchè l'arcivescovo Orsini con un suo editto del 1713 dispose che non era permesso a nessuno "... durante il periodo della vendemmia ... far comitiva e unitamente trattenersi in qualunque ora presso le porte della Città con suoni, canti, balli...".
Era anche prescritto "... che passando donne a piedi o a cavallo o in carrozza, non ardisca alcuno di alzare la voce o farsi innanzi alle medesime ed offendere con atti e parole che espressamente o interpretativamente possano avere senso di impurità... ".
Singolari le pene "... chi contravverrà in tutto o in parte ... se gentiluomo o civile soggiacerà per ogni volta alla pena di ducati cento... se plebleo a due mesi di carcere formale e alla frusta".
Qui c'è poco da interpretare !
Se eri ricco pagavi una multa, se eri plebeo pagavi con pene corporali, carcere e frustate !
Ovviamente anche l'Arcivescovo Orsini, pur illuminato ed attualmente addirittura in odore di santità, era pur sempre figlio dei suoi tempi, tempi in cui si dava per scontato che i "signori", i ricchi, insomma, potessere cavarsela solo con una multa in danaro.
Non c'era nemmeno bisogno di "comprare benefici", altrimenti non spettanti, come supponeva Petronio, in quanto era lo stesso legislatore a stabilire pene diverse a seconda dei soggetti .
Non suscita minore impressione il fatto che si stabilissero pene specificatamente anche per i "gentiluomini" ed i "civili" segno che anche loro non disdegnavano di insultare le ragazze con gesti e parole pesantemente volgari.
Non solo i plebei, dunque, che nell'accezione comune erano anche più poveri, più rozzi, più volgari, meno istruiti, ma anche i "nobili" ed i "patrizi" andavano incontro a certe pruriginose tentazioni, in barba alla loro più elevata condizione sociale.
Comunque se la siano passata in nostri antenati, oggi sarebbe impossibile al legislatore dimensionare la pena in ragione del soggetto che delinque.
Sarebbe contrario alla Costituzione che all'art.3 stabilisce "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
E però, forse, rimane ancora il rischio indicato da Petronio :
Che possono le leggi, là dove solo il denaro ha potere,
o dove la povertà non ha mezzi per vincere ?
Non c'entrano né le leggi né i giudici, ovviamente, ma va da sé che chi è ricco abbia ancora oggi maggiori possibilità di far valere le proprie ragioni.
Un po' come voleva Marcello Marchesi quando diceva "La legge è uguale per tutti. Basta essere raccomandati."; sì, raccomandati ... dai soldi.
Che, in fin dei conti, è sempre meglio che andare in galera e prendersi le frustate.
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