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Premio Strega 2020: ecco un altro blocco di proposte
     
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lun 24-02-2020 13:30, n.12970 - letto 6748 volte

Premio Strega 2020: ecco un altro blocco di proposte

Si allunga l’elenco dei candidati

di Elide Apice


Si allunga l’elenco dei libri proposti al premio Strega 2020, ecco un altro blocco di cinque titoli proposti da altrettanti Amici della Domenica.
Ilaria Rossetti, “Le cose da salvare” (Neri Pozza), proposto da Wanda Marasco
“La tragedia del crollo di un ponte, nel testo di Ilaria Rossetti, è metafora potente di una disgregazione che investe la società e contemporaneamente l’interiorità umana.
Il racconto è un’indagine in cui prevalgono l’affondo nelle vite e il flusso di coscienza dei personaggi, ritmati e descritti mirabilmente nelle tensioni, nel crogiolo di illusioni e fallimenti.
Il ponte crollato è l’evento che induce a riflettere sulle lacerazioni umane, sulla nuova “peste” di un presente che ripete e riecheggia nelle vite i mali del mondo.
Tra corruzione sociale e corrosione delle esistenze non c’è differenza. Sono le psicologie che dicono la meditazione sullo stato delle cose e assegnano all’introspezione lo sforzo della verità, l’analisi dell’angoscia e della speranza di una rinascita.
La scrittura della Rossetti, intensa e a tratti poetica, usa il registro della cronaca che rivolta le coscienze, ne dice il deserto e ne stana la ferita come l’ultima paradossale forma di difesa e di resistenza.»
Alessio Forgione, “Giovanissimi” (NN Editore), proposto da Lisa Ginzburg
«Un secondo romanzo (dopo Napoli mon amour) di sorprendente compattezza stilistica. Un ritratto malinconico e intenso dell’età che precede la giovinezza e la piena definizione di se stessi.
Una vicenda tra goliardia un po’ sbruffona di giovani aspiranti calciatori e tristezza del coabitare di un figlio e un padre dopo che la madre è andata via. T
ra amicizie leali e traditrici insieme, l’emozione dirompente di un primo innamoramento, il disincanto amaro dell’ “arte di arrangiarsi” in una periferia di Napoli, Soccavo, con le sue strade erte di trappole e lontane da ogni stereotipata bellezza del golfo poco lontano.
Romanzo/silloge delle regole più feroci che ritmano l’ingresso all’età adulta: storia la cui potenza risiede nello sguardo e la voce di un protagonista che occupatissimo a decifrare se stesso, trova spazio tuttavia per far parlare ciascuno.
Con quella empatia autentica che è intimamente connaturata solo ai veri scrittori.»
Ilaria Bernardini, “Il ritratto” (Libri Mondadori), proposto da Paolo Sorrentino
«Il ritratto, come tutti i libri seri, non si accontenta di essere una cosa sola. E’ classico e nuovo.
Sa essere rigoroso, senza rinunciare alla libertà della divagazione.
E’ ironico, ma s’impernia sulla gravità della perdita, della mancanza, dell’eterna, sconcertante fluttuazione dei sentimenti.
Sono solo alcune delle ragioni per cui Il ritratto è un libro bello e importante. »
Chiara Valerio, “Il cuore non si vede” (Einaudi editore), proposto da Jhumpa Lahiri
«La sottrazione è l’esercizio fondamentale in questa storia di aritmetiche e romantiche differenze.
Quanto resta di noi se amiamo? E quanto ci viene a mancare? Cambiando le cifre in figure umane, essenziali come i mitemi greci interrogati dal protagonista, Chiara Valerio medita con lucidità le conseguenze del raddoppiarsi, la logica paradossale di perdersi per sommarsi a un altro.
Il risultato è un’opera ironica e malinconica, surreale, di respiro internazionale.
Sospeso fra modernismo europeo e classicità mediterranea, Il cuore non si vede è un romanzo con due cuori: uno leggero e scanzonato, l’altro tragicamente onesto.
Oscilla, nei temi, fra il viscerale e l’evanescente: fra i gangli nascosti nel corpo e quelli sfuggenti del desiderio.
Anche la lingua ha un’anima biforcuta, una sintassi che insiste sul passaggio continuo tra un italiano letterario e unocolloquiale.
Racconta quel che resta della vita borghese, se così possiamo chiamarla.
Ogni relazione impone una misteriosa metamorfosi addirittura fisiologica.
Vitale ed elegiaco, questo libro canta non solo un susseguirsi di sparizioni materiali e metaforiche ma anche un’inarrestabile evoluzione.
Ciò che infine prevale è la memoria, evocata con forza sbalorditiva: un passato rimbalzante che, pur destabilizzandoci, ci salva.
Lo propongo agli Amici della Domenica del Premio Strega 2020, perché è una favola postmoderna e anche un farmaco per la smemoratezza, la disattenzione e l’illetterarietà di questi tempi.»
Sebastiano Mondadori, “Il contrario di padre” (Manni Editori), proposto da Giovanni Pacchiano
«C’è candore mescolato a nostalgia, c’è dolore per quel che non è stato e felicità per un unico momento di gioia passata, c’è soprattutto una notevolissima e consapevole lievità di scrittura che non cade mai in melensaggini (mi ricorda per molti versi un autore illustre come Valery Larbaud per le sue Enfantines) nel romanzo di Sebastiano Mondadori, Il contrario di padre.
Storia soave e terribile, articolata in due tempi.
Il primo, durante una vacanza estiva, che si perde nel passato, del complicato rapporto fra Giulio, un bambino di 10 anni, e il padre, Geremia, 38 anni, un fainéant, ameno irresponsabile, un bugiardo cronico, giocatore di poker, spallone di denaro, spudorato dongiovanni, imprevedibile e inaffidabile, eppure, nei momenti migliori divertente e allegro e affettuoso col figlio.
Il secondo: il tempo di un rendiconto, quando Giulio, passati trent’anni senza aver più visto il padre, svanito nel nulla dopo quella memorabile vacanza, fatto scendere il figlio davanti alla casa dell’ex moglie con un allegro: “Ci vediamo presto, campioncino”, apprende dall’imprevista telefonata di “una voce femminile quasi implorante”, quella di Carla, la seconda moglie di Geremia, che il padre è morto, stroncato da un tumore al fegato.
Sicché nel romanzo il momento della felicità, il passato, e quello del cordoglio, il presente, si distinguono e insieme si confondono nell’animo di Giulio, che, di fronte a Carla, dopo averla raggiunta per condividere con lei il lutto, si abbandona al ricordo.
Quell’agosto meraviglioso, quando Geremia imbarca il figlioletto, imbottito di raccomandazioni da una madre apprensiva, su una Giulia super amaranto (la spinge a 200 all’ora e il figlio è allibito), portandolo in vacanza a casa di amici, al Circeo e poi a Capri.
E delicato è il racconto dell’apertura del piccolo Giulio alla vita: le innocenti infatuazioni per le ragazze più grandi di lui, lo sbalordimento e i timori per la sfacciata sventatezza del padre, capace di vincere una villa al poker salvo poi renderla al proprietario, o di esibire davanti al figlio una valigia piena di soldi, cento milioni in banconote di piccolo taglio, arrivati da chissà dove.
Il cuore di Giulio palpita, è turbato e insieme ammirato, ma si sente vivo e non si scorderà, trent’anni dopo, di esserlo stato come non mai.
Stupore e rabbia, mescolati all’affetto, e sedimentati nel tempo.
Sebastiano Mondadori è bravissimo nel tratteggiare i caratteri dei personaggi.
Padre e figlio così diversi, tanto che c’è qualcuno che dice a Giulio: “Tu sei il contrario di tuo padre”.
Uno tutto esteriorità, e chissà cosa si nasconde dietro la maschera, a meno che, forse, la maschera non sia di fatto il viso, l’altro tutto interiorità, titubanze, timidezze, e rettitudine d’animo.
Così come mostra altrettanta intelligenza e finezza nel descrivere i caratteri minori.
Clementina detta Clem, la giovane amante che il padre porta con sé e Giulio in vacanza, Clem che inonda la macchina di un odore di limone fritto, Clem che, contraddicendo al cliché delle amanti, è dolce e materna con Giulio, e amaramente consapevole che il rapporto con Geremia durerà poco più di una stagione.
Elena, la madre di Giulio, professione sarta, anch’essa l’opposto dell’ex marito: rigorosa sul lavoro, ansiosa, sconsolata, consapevole di quanto sia faticoso vivere.
E attorno a Giulio, nella vacanza, graziose adolescenti, figure dell’eterno femminino che per la prima volta lo avvolge e lo inquieta.
Ma la parola decisiva spetta alla bella Clem, che, mandandogli per posta vecchie fotografie di quella vacanza, in una busta dove ahimé non aleggia più l’odore di limone fritto, conclude. “È tutto così lontano, e noi siamo diventati delle altre persone. Chiunque fossimo, siamo stati felici”.
Pura poesia: oggi purtroppo valore al ribasso.
“Tristeza não tem fin. Felicidade sim” dice una bellissima, vecchia, memorabile canzone di Jobim e Vinicius.
Accade per questo libro. Come non amare un romanzo così?»
Fonte https://www.premiostrega.it/
 

 
 


 

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