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Premio Strega 2020: ecco il decimo gruppo di proposte
     
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mar 03-03-2020 12:01, n.12993 - letto 7124 volte

Premio Strega 2020: ecco il decimo gruppo di proposte

La dozzina verrà annunciata il prossimo 15 marzo

di Elide Apice



Ecco le nuove proposte per il Premio Strega 2020, così come riportato da www.premiostrega.it.
Ora si è in attesa della scelta della dozzina che dovrebbe essere presentata a Benevento nel prossimo mese di giugno
Gianluigi Bruni, “Luce del Nord” (Rubbettino Editore), proposto da Antonio Pascale
«Il libro assolve una delle funzioni della narrativa: farci conoscere (con un romanzo) quello che sì, magari vediamo superficialmente ma non conosciamo in profondità.
Nella fattispecie sappiamo dell’esistenza dei poveri e marginali. Le statistiche li contano, i Media li etichettano, appunto, come poveri e noi li vediamo di tanto in tanto e abbassiamo lo sguardo, o li giudichiamo bene o male, a seconda dei nostri umori.
Ma uno scrittore come Bruni li osserva e racconta con misura e pathos le loro singole vite, li toglie dall’etichetta (di poveri e drop out) che li ha definiti e condannati, gli dà un nome, una storia, li fa muovere in un contesto, scandaglia emozioni, comportamenti, ambizioni, desideri, descrive le contingenze, le colpe i sogni.
Libro coraggioso, ben scritto, montato ancora meglio, rischia di diventare il caso dell’anno, perché sovverte statistiche cliché, illumina le storie nascoste, e getta addosso a noi un po’ ombra, necessaria quest’ultima per riflettere, pensare ai tre personaggi del libro: Frank, Cristian, Eva.»
Pasquale Critone, “Il tesoro sacrilego” (Armando Editore), proposto da Antonio Augenti
«I due protagonisti principali, quelli che danno origine a una serie di eventi che rappresentano la struttura dell’opera, Giovanni e Don Pancrazio, sono accecati dall’avidità della ricchezza a tal punto da far commettere quello che per la comunità è il più grave dei delitti: il furto del tesoro della Madonna Addolorata.
Entrambi vivranno inizialmente nel lusso e nello sfarzo, negli agi e nelle raffinatezze, ma successivamente le loro famiglie saranno punite e travolte dal destino.
Di indubbio spessore culturale risultano alcune tematiche – la disuguaglianza economica, la libertà e la schiavitù, la condizione femminile e le basi morali della società dell’epoca, i legami di sangue e la solidarietà umana – che emergono come la punta dell’iceberg durante il fruscio delle pagine sfogliate con la richiesta sottesa al lettore di una riflessione attenta.»
Lidia Del Gaudio, “Il delitto di via Crispi n.21” (Fanucci Editore), proposto da Marcello Ciccaglioni
Proposto da Marcello Ciccaglioni «Scritto con grande eleganza, riesce a calare il lettore nel periodo storico del ventennio fascista nelle giornate precedenti la visita di Hitler a Napoli.
La scrittura è fluida e raffinata, accurata e ben bilanciata, con scelte sempre adeguate al contesto narrativo; i personaggi sono descritti con pochi tratti ma sufficienti a renderceli con una vivezza cinematografica nel loro dolore e nella loro malinconia. Mai una sbavatura, mai un momento di stanchezza, mai un cedimento al superfluo.
Un giallo che prima di essere tale è un romanzo d’autore, un puzzle letterario.»
Francesco Falconi, “Gli anni incompiuti” (La Corte Editore), proposto da Alessandro Perissinotto
«Se la vicenda di questo libro fosse ambientata ai nostri giorni, forse (ma sottolineo “forse”) questa storia non avrebbe ragione di essere scritta, se gli “anni” citati nel titolo fossero i nostri anni stabilmente ancorati al terzo millennio, forse quegli stessi anni non sarebbero “incompiuti”, se i due protagonisti del libro fossero i ragazzi che vedo ogni giorno in università, sicuramente non proporrei alla giuria del più importante premio letterario italiano la candidatura di questo romanzo che, in fondo, non contiene altro che una semplice storia d’amore impossibile, una delle tante.
Ma sono gli anni, è il periodo ad obbligarci a guardare con attenzione alla vicenda di Marco e di Aurora, alla loro formazione, all’amore totale di lei per lui e a quello incerto, dubbioso di lui per lei.
Già, perché Marco, pur avvertendo la forza di ciò che lo lega ad Aurora, sente che il suo desiderio, quello che oltre al cervello e al cuore coinvolge anche il corpo, si muove in un’altra direzione, è agitato dalle forme degli uomini.
Ed eccola la banalità in agguato, una banalità che sarebbe tale oggi e che forse, pur con qualche sapore di scandalo, sarebbe stata tale anche ai tempi di Paul Verlaine o di Oscar Wilde; ma negli anni Ottanta no, negli anni incompiuti no.
Gli anni Ottanta, quelli nei quali è ambientato il romanzo, sono anni di passaggio anche per il concetto di omosessualità, sono la transizione tra uno stigma sociale che va indebolendosi e un riconoscimento del diritto ad amare che ancora tarda a concretizzarsi.
La storia di Marco e Aurora, pur non cessando di essere una tra le tante e una come tante, ci costringe a guardare a quel magma apparentemente informe che sono gli anni ’80, così diversi dagli entusiastici anni ’60, o dai cupi ’70, ci obbliga a guardare con il gusto della riscoperta a un periodo nel quale, almeno fino alla caduta del muro di Berlino, sembra non sia accaduto nulla e invece…
Gli anni incompiuti di Francesco Falconi è fatto di semplicità, di linguaggio immediato, ma anche qui l’occhio attento saprà cogliere, sotto la superficie di un testo che pare quasi pensato per un pubblico giovanile, la cura di una scrittura mimetica, aderente alla fisionomia dei personaggi e, proprio per questo, mai banale.»
Antonio Gnoli e Francesco Merlo, “Grand Hotel Scalfari” (Marsilio) proposto da Pietrangelo Buttafuoco
Rigogliosa ed esuberante galleria di specchi in cui il romanzo di IO scritto in prima persona ha la stessa cifra anagrafica dell’ES.
Grand Hotel Scalfari oltrepassa i recinti delle maniere (risulta di fatto essere più ricco di personaggi e storie di tante narrazioni della novella vaghezza dei nostri anni) e della cosiddetta “lingua” come nessun cosiddetto scrittore ombelicale in Italia saprebbero fare oggi, offrendosi come capolavoro di vera letteratura.
Frutto della capacità di ascolto e dell’arte del racconto di due esempi diversissimi eppure installati nella più pura tradizione del giornalismo del nostro paese, Antonio Gnoli e Francesco Merlo, è più di un pretesto per il racconto di un mondo perduto che ha le parvenze della nostra recente vicenda nazionale, una cronaca in prima persona esuberante e malinconica, mediata da uno sguardo complice e da una sontuosa messa in scena del privato, è allo stesso tempo un libro che rappresenta Scalfari più di quanto il suo protagonista sarebbe riuscito a fare.
Forte di una vera scrittura il personaggio ES ha finalmente trovato il suo autore, anzi, ben due: Merlo e Gnoli.
Se di genere qui si tratta forse si applica come richiamo il romanzo di cavalleria, al modo di un Don Chisciotte e di un Sancho Panza: senza cautele e senza censure, gli autori svelano a se stesso il loro stesso creatore facendone infatti un personaggio totale, un don Eugenio de Cervantes ovviamente irriconoscibile agli occhi degli stessi scalfariani, che mai e poi mai saprebbero pensarlo libertino tra le delizie di un bordello o tra Casinò fin de siecle, in camicia nera, a braccetto con Indro Montanelli o alle prese con il suo ormone femminile.»
Claudio Lagomarsini, “Ai sopravvissuti spareremo ancora” (Fazi Editore), proposto da Laura Minervini
«Claudio Lagomarsini, autore di racconti, articoli di approfondimento e pubblicazioni accademiche, fa il suo esordio nel romanzo con questo libro sorprendente e intenso.
La storia, ambientata nella provincia toscana dei primi anni Duemila, gira intorno a un nucleo di personaggi descritti vividamente – i fratelli Marcello e “Salice” (dell’io narrante conosciamo solo il soprannome), adolescenti fragili e inquieti, la madre e la nonna, così lontane dagli attesi stereotipi, il compagno ufficiale della prima e l’amante semi-clandestino della seconda, rozzi, maschilisti e prepotenti.
I protagonisti, disposti in coppie in più o meno esplicito conflitto fra loro, si muovono nello spazio ristretto di un vicinato oppressivo e invadente, nell’arco di una lunga estate che segnerà in modo drammatico la vita di tutti. Maneggiando con abilità e una certa dose di ironia l’espediente del manoscritto ritrovato, il libro costruisce una narrazione a due voci, dove a Marcello, che racconta in presa diretta gli avvenimenti, fa da contrappunto il fratello minore, che leggendolo a quindici anni di distanza ne ridimensiona la testimonianza, offrendo un punto di vista parzialmente diverso su fatti e persone.
Segnato da una scrittura asciutta, limpida e scorrevole, Ai sopravvissuti spareremo ancora si colloca all’incrocio fra il romanzo di formazione e il noir familiare e propone un’emozionante esplorazione del tema della solitudine e del senso di inadeguatezza sullo sfondo un’Italia minore, arcaica e feroce. Un esordio felicissimo per l’autore, dunque, e un’esperienza forte e appassionante per i suoi lettori.
Pierluigi Luisi, “Il posto dei fichi d’India” (Aracne editrice), proposto da Paolo Ferruzzi
«Un inviluppo di ricordi amici traccia le pagine de Il posto dei fichidindia di Pierluigi Luisi come percorso che attraversa un’isola lungo tre generazioni nell’arco di tempo che arriva fino ai nostri giorni con episodi dall’ampio respiro storico dove si muovono personaggi e storie vere raccontate dalla viva voce di vecchi e vecchie donne elbane.
Un Cent’anni di solitudine in cui si contano storie locali minime ma al tempo stesso universali in quanto vi si parla d’amore di gelosia e di sentimenti accesi. Personaggi lontani nel tempo visti come in un film da uno spettatore distaccato dai primi fotogrammi proiettati sul grande schermo.
Poi questo spettatore vede passare gli anni e si accorge che anche lui è diventato personaggio come gli altri, dentro la storia, dentro il suo stesso libro.
Già, l’età, il passar degli anni. Chi se ne salva? e così l’autore termina il libro con una riflessione di melanconia: “…Mi sveglia il brusio dalla strada: un misto di voci festive che si chiamano, che canticchiano, che fischiano, il tutto indistinto e lontano, come un’allegrezza lieve diffusa dal vento.
Nel paese del Nord dove io vivo, ci si sveglia la domenica in un silenzio di tomba, e il brusio delle voci di Rio Marina mi sorprende come il saluto di un amico che non vedi da vent’anni.
Apro la finestra del piccolo albergo che da sulla piazza, e insieme alla prepotenza del sole entrano impressioni dimenticate e al tempo stesso familiari: il rosso delle tegole dei tetti, il campanile scalcinato, i bambini che si rincorrono in mezzo alla strada…”. »
Francesco Marino, “Lo chef consiglia amore” (Cairo Editore), proposto da Lina Wertmüller
«Lo chef consiglia amore di Francesco Marino (Cairo Editore) è un romanzo che indaga le molteplici e inaspettate sfumature del sentimento più discusso del nostro tempo: l’amore.
Proprio l’amore infatti, è al centro di questo libro lieve e pervaso da una scrittura intima dove l’ironia si mescola a ricordi, a sofisticate ricette stellate e, soprattutto, ai palpiti di un cuore indeciso tra due donne, completamente diverse tra loro.
A tratti romantico, folle, fragile, l’amore raccontato da Francesco Marino prende forma nei turbamenti amorosi di Gilbert Canton, uno chef parigino di origini italiane e teso alla conquista della terza stella Michelin, segno della sua definitiva consacrazione.
Ma Gilbert non è l’unico protagonista di questo romanzo. Sullo sfondo infatti, c’è una sfavillante Parigi con le sue strade punteggiate da esclusive griffes, gallerie d’arte, alberghi e ristoranti di charme. Un romanzo che racconta di sentimenti ma, si badi bene, non “sentimentale”: storia di una generazione realizzata nel lavoro ma confusa nella vita privata, alla continua ricerca dell’amore, ma soprattutto del rapporto “perfetto”, come se questa presunta perfezione fosse l’unico modo per raggiungere un equilibrio e dare senso alla propria esistenza.
Perennemente dilaniata tra incanto e disincanto, tra il mettersi in discussione o giocare di rimessa per paura di scottarsi e farsi del male.
Il tutto raccontato con stile vivido ed incalzante, quasi cinematografico, che fascina il lettore desideroso di scoprire con quale delle due donne il protagonista sceglierà di condividere la propria vita.»
Renzo Paris, “Miss Rosselli” (Neri Pozza) proposto da Nadia Terranova
«Questo è un libro di visioni, di fantasmi, di ossessioni, di sepoltura degli addii e di disseppellimento dei ricordi; è un libro che racconta un tempo in cui le relazioni fra gli artisti, gli eventi storici e la poesia erano indissolubili, quel tempo era il secolo scorso e per le vie dell’Urbe, oggi, può capitare di seguire l’apparizione di uno spettro e arrivare alla casa di via del Corallo dove ha abitato e ha deciso di morire Amelia Rosselli.
Renzo Paris racconta l’amicizia con Amelia, la sua Melina, e restituisce, senza mitizzazioni kitsch, la malattia, l’estraniamento, il genio incontrollabile, i difficili e intensi rapporti con la realtà, con la famiglia, con l’ombra del padre, con gli amici.
Miss Rosselli dovrebbe essere letto da tutti non solo perché svela sottostorie e controstorie inedite di una delle più importanti poetesse italiane, ma anche perché, nel far rinascere l’atmosfera di quegli anni, compie il miracolo di una vividezza senza nostalgia, anzi accende nei lettori, anche più giovani, un furore denso di futuro; è un libro che fa venire voglia di vivere dentro la letteratura, che ne rinnova l’amore.
La scrittura di Paris, poeta, narratore, critico e instancabile testimone della Roma del secondo Novecento, in queste pagine è lieve e implacabile, precisa, tiene il ritmo costante di una profonda leggiadria, tenacemente alla ricerca, sofferta e riuscitissima, delle parole giuste per andare oltre il ritratto, dispiegando il passaggio terrestre dell’autrice di versi che annoveriamo fra gli indimenticabili di ogni tempo.»
Piera Ventre, Sette opere di misericordia, Neri Pozza, Proposto da Cesare de Seta
«Sette opere di misericordia è uno di quei rari romanzi in cui, affrontando uno dei momenti cruciali della nostra storia nazionale – l’estate del post-terremoto a Napoli e della tragica vicenda di Vermicino –, la narrativa riesce a ridare voce nuova ai suoi temi eterni: la colpa e il destino, la misericordia e il castigo, i sogni e l’innocenza perduta. Attraverso una scrittura impeccabile, di ampio respiro eppure sapientemente controllata, Piera Ventre si riallaccia alla migliore tradizione letteraria del nostro secondo Novecento.
Evidente nella sua opera è il lascito ortesiano – l’idea, soprattutto, della crudeltà della Storia contrapposta all’innocenza dell’infanzia – che però, diversamente che in altri contesti, viene sorretto da una forte narratività, che coinvolge il lettore dalla prima all'ultima pagina.»

 
 


 

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