In questi giorni di festa un pensiero speciale va ad una persona che presumo sia scomparsa: lo spazzino del Viale Mellusi. Io sono andato ad abitare al Viale Martiri di Ungheria nel 1952, dopo che i miei genitori ebbero in assegnazione una casa popolare grazie al loro stato di vittime dell'alluvione del 1949 che portò via la loro abitazione alla Via Ponticelli. Al Viale Martiri di Ungheria funzionava il servizio raccolta rifiuti urbani che erano ceduti tutti insieme dato che non c'era nemmeno il sospetto che si potesse "differenziare". Se oggi ci lamentiamo del senso di civiltà di alcuni nostri concittadini vi lascio immaginare cosa doveva essere negli anni 50. Ebbene in un secchio di ferro si metteva tutto insieme l'inverosimile ed un dipendente dell'azienda - mi pare che fosse già la Langione, provvedeva a ritirare presso gli utenti l'ammasso delle fetenzie di famiglia. Poi negli anni 60 venne il Moplen, distribuito a domicilio dai ferrivecchi in cambio di oggetti metallici, ma cambiò poco, i secchi erano di plastica -più facilmente lavabile, ma pur sempre pieni di ogni schifezza immaginabile. Il povero netturbino appena entrato nel portone suonava una trombetta che preannunziava il suo arrivo e si inerpicava veloce su per le scale a due a due (o forse più) con le sue gambe lunghe, ovviamente a piedi. Tutti si affrettavano a preparare il loro secchio, non sia mai perdere il turno. Il netturbino saliva all'ultimo piano e lì iniziava la raccolta svuotando la melma casalinga di ciascuno in un sacco grande - mi auguro che fosse almeno un po' impermeabile, che trascivana via sulle spalle curve sotto il peso. Man mano che scendeva il sacco si appesantiva, ovviamente, ma poco male : il netturbino, era alto, magro ma evidentemente robusto e faceva il suo lavoro praticamente di corsa. Il "percolato" non esisteva nemmeno nel vocabolario ma sicuramente era costantemente presente lungo la schiena del povero netturbino che giunto poi a piano terra svuotava il secchio in un recipiente più grande, probabilmente collaborato da altri suoi colleghi. E subito dopo passava velocemente ad un altro carico, al portone successivo, con percolato incorporato. Un'autentica barbarie, insomma, ma forse proprio per questo quel personaggio aveva un che di mistico e mitico allo stesso tempo. Il suo sacco ingurgitava immondizia senza un lamento da parte sua, sembrava gli piacesse e comunque non dava il minimo segno di insofferenza, forse accelerava addrittura per finire prima tutto il lavoro e magari andarsi a lavare di corsa. O forse ancora era talmente compenetrato nella sua parte che lui e l'immondizia era una cosa sola e non ci pensava nemmeno a lavarsi, ma fatto è che quando poi lo si incontrava per strada da civile era tutta un'altra cosa e tuttavia la sua fìgura spiccava sempre, lo si riconosceva subito tra mille, era lui, il nostro "spazzino", alto, magro, dinoccolato, robusto, mitico. Sembrava impossibile che avesse un'altra vita. Forse il suo portamento molto magro era dovuto proprio alla gigantesca attività fisica cui era costretto per il suo lavoro, ma sicuramente alcuni suoi colleghi non ne risentivano affatto, ed avevano un fisico decisamente abbondante. A noi il secchio dell'immondizia, specie d'estate, faceva schifo solo a passar vicino tanto puzzava; e non parliamo del secchio dopo Natale e Santo Stefano, ritirato inevitabilmente a distanza di giorni, traboccante di ogni fetenzia che la mente umana poteva immaginare, con una lunga stagionatura ed una più puzza da stordire gli sventurati che si avvicinavano troppo. Lui niente, come se nulla fosse, forse s'era fatto bruciare le cellule dell'olfatto. Ma quasi tutti noi eravamo sicuri che solo lui al mondo poteva fare quel lavoro e se non veniva lui a ritirare il nostro secchio ci sembrava quasi di fargli una scortesia a consegnare la "meglio" schifezza di famiglia nelle mani altrui. A Natale e a Pasqua si soffermava anche a fare gli auguri alle famiglie, la povertà era ancora tanta mentre il boom economico scoppiava in mano ad altri, ed erano pochi i "coraggiosi" che ricambiavamo con qualche piccola mancia. Ma non faceva nulla, era quasi di casa per tutte le famiglie del palazzo e forse anche lui sentiva la confidenza cui ci aveva portato la reciproca pratica giornaliera. Poi qualcuno con la testa più quadrata delle altre finalmente ebbe una felice intuizione e la barbarie da un giorno all'altro cessò : chi voleva smaltire l'immondizia doveva portarla giù al piano terra. Ma per noi non cambiò nulla e se lo si incontrava per strada da civile, lo si riconosceva subito tra mille, era lui, il nostro spazzino, alto, magro, dinoccolato, robusto, mitico, finalmente libero di alzare la schiena e star su in tutta la sua strabiliante altezza. E non è un personaggio inventato, è esistito davvero, ne conoscevo anche il nome che ora non mi sovviene, è sopravvissuto a lungo alla barbarie subita. Ed ogni tanto ritorna in mente quella figura che insieme ai suoi colleghi ha avuto tanta importanza negli anni 50-60 per tutte le famiglie della Città. Con un po' di rimorso per quante ne ha subìto per via di tutti noi, per quanto incolpevoli. aggiornamento del 30-12-2016 Sono andato a chiedere all'Asia ed ovviamente lo conoscevano tutti. E' stato a lungo dipendente dell'Azienda, e prima ancora della ditta Langione che negli anni 50-60 aveva in gestione il Servizio di nettezza urbana. Si chiamava Silvio D'Andrea, ora non c'è più, E' lui quello nelle foto che ho prelevato dal sito web del Cral Asia che il Presidente Zoppoli ha messo a disposizione. La sua altezza lo rende inconfondibile ed immediatamente riconoscibile. Era benvoluto da tutti, e tutti quelli che lo ricordano ne parlano bene. Era uno dei tanti, di quelli che nel dopoguerra, sacco in spalla, testa china e pochi lamenti, hanno portato l'Italia fuori dai dolori appena trascorsi, facendola diventare un paese moderno ed operoso. Poi le cose hanno preso una brutta piega, ma sono in molti a ricordare quella persona e molti mi hanno contattato sostenendo non solo di riconoscerlo ma che era anche il "loro" netturbino. Segno che, evidentemente, andava un po' in giro per tutta la città, lasciando in tutti il bel ricordo che ne ho io. Grazie, dunque, a Silvio D'Andrea e a quanto ha fatto per noi, testa china, sacco in spalla e pochi lamenti.
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